“Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.”

Buddha

Nell’era del libero accesso al web, della condivisione totale dei contenuti e dello scambio istantaneo e continuo di informazioni, sappiamo ancora comunicare?

Comunicare tra esseri umani è tra tutte le competenze e capacità, la più sottovalutata. Ognuno di noi, in cuor suo, ritiene di essere un buon comunicatore di sapersela cavare discretamente. In fondo è facile, basta possedere una minima dimestichezza con la lingua, avere le idee chiare e affermare quello che si pensa. Punto.

Ma è proprio così?

In realtà, a partire dalla scuola e successivamente nel mondo del lavoro, ci si dedica, con dedizione e fervore, molto più ai contenuti (cosa) che non alla forma (come). Ci si concentra molto più sulle competenze che non su come riuscire a trasferirle ad altri. E’ ovvio che nella vita avere competenze, conoscenza e cultura è fondamentale, ma cosa ce ne facciamo di tutto il nostro sapere, della nostra conoscenza, se non siamo in grado di comunicarla in modo chiaro ed efficace?

Quando si parla di dialogare in modo efficace, non si tratta di sforzarsi di cambiare il senso o il contenuto di ciò che vogliamo dire (cosa) ma di riuscire a esprimerlo in modo tale che:

a) l’altro comprenda appieno

b) l’altro sia interessato/coinvolto in quel che diciamo

c) l’altro abbia la possibilità di rispondere/controbattere/inserirsi nel nostro discorso

Questi 3 punti differenziano un dialogo (confronto verbale che attraversa due o più persone) da un monologo (discorso tenuto da un singolo e diretto ad altra persona o a un pubblico) se non addirittura da un soliloquio (discorso in cui colui che parla indirizza le sue parole a se stesso senza la presenza di un destinatario finale).

La differenza tra dialogo, monologo e soliloquio sta tutta nell’intenzione di chi vuole comunicare.

Se il comunicare ha come finalità (e quindi intenzione) il farsi capire, coinvolgere e anche ascoltare l’altro, inevitabilmente l’oratore favorirà l’instaurarsi di un dialogo, faciliterà la comprensione reciproca e alimenterà l’interesse di tutti i protagonisti della conversazione. Se, al contrario, il comunicare ha altre finalità (sfogo, invettiva, affermazione della personalità, azione di disturbo) inevitabilmente l’oratore passerà da un dialogo ad un monologo/soliloquio. Primo o poi, ci stanchiamo tutti di chi non riesce (vuole) farsi comprendere, di chi non è interessato a noi nella conversazione e di chi vuole solo parlare e non riesce ad ascoltare. O sbaglio?

Passando dalle intenzioni alla tecnica, uno strumento utile per generare interesse in chi ci ascolta è quello di alternare affermazioni a domande. L’affermazione tende generalmente a “chiudere” la conversazione (Per me è così. Punto.) La domanda invece è un prezioso strumento per “aprire” la conversazione (Io la penso così. Su quali basi invece tu pensi possa essere il contrario?)

Un altro strumento semplice ma utile è il controllo sulla brevità degli interventi. Il riuscire cioè a dire molto, utilizzando poche parole. Preferibilmente quelle necessarie e adeguate. Nella comunicazione scritta (che non può contare su altri elementi come la gestualità o la voce, presenti nella comunicazione a vis a vis) questo è ancora più vero e discriminante. Che effetto ci fa ricevere una mail composta da 100 righe di testo? L’istinto immediato è spesso quello di cestinarla immediatamente…

Il grande Miguel de Cervantes scriveva: “Sii breve, che un discorso lungo non può mai dar piacere”. Allo stesso modo, anche l’intellettuale colombiano Nicolas Gomez Davila ci metteva in guardia: “Scrivere breve, per concludere prima di annoiare”. Anche perché se è vero che le parole sono come proiettili, il più bravo tiratore è quello che riesce a fare centro sparando meno colpi.

E a questo punto, per non auto-contraddirmi, mi fermo.

E’ fondamentale continuare a coltivare e migliorare il dialogo disincentivando i monologhi e i monologhisti ad oltranza  A questo proposito, potrebbe essere utile riferirsi sempre a 3 semplici principi-base che vi propongo come “tovaglia” sulla qual apparecchiare tutte le conversazioni future:

1) Solo dal confronto nasce la conoscenza. Volersi confrontare significa spiegare in modo semplice e chiaro quello che penso ma significa anche saper ascoltare, e nel caso domandare, per comprendere come la pensa l’altro.

2) Per confrontarsi occorre rispettarsi. Senza il rispetto tra le persone il confronto è impossibile. Questo vale sempre, ma soprattutto quando qualcuno la pensa diversamente da me.

3) Impara solo chi non pensa di sapere già tutto. La curiosità, il dubbio, il desiderio di ampliare le proprie conoscenze sono vento nelle vele. La supponenza, l’arroganza intellettuale e l’autoreferenzialità sono piombo nelle scarpe.